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li abbiamo distinti per temi d’interesse, in modo che tu possa avere un’idea di cosa significhi per i caggianesi il proprio paese e, se ci riusciamo, per farti venire l’acquolina in bocca, in tutti i sensi, per farci una visita “reale” in compagnia delle persone che ti stanno più a cuore. |
Se non sei mai stato a Caggiano
qualora quest’invito sarà stato di tuo gradimento, ed avessi pensato di venirci a trovare, contattaci, avrai degli amici per godere di più la tua vacanza a Caggiano, gustarne i sapori ed entrare nelle tradizioni.
Se sei stato a Caggiano
e visitando il nostro sito ti venisse voglia di comunicarci le tue impressioni, segnalaci le tue preferenze e indicaci le nostre mancanze, faremo di tutto per ascoltare la tua voce e migliorare le cose possibili.
Grazie, comunque, per aver scelto Caggiano, ti auguriamo buon viaggio e buon appetito.
L'arch. Giuseppe Cafaro ci conduce in un giro del centro storico.
Se una sera d’estate un viaggiatore, punto da calcolo o avventura, risalisse l’altura da cui Caggiano domina la straordinaria distesa di monti e di colline fino a che un chiarore diffuso, il mare, non ne interrompe il degradare che sembra infinito, si arresterebbe davanti all’invito del poderoso Castello, delle sue torri e delle sue mura.
Arcigno per alcuni, per altri tegumento di una golosa polpa architettonica, punto di riferimento ed accompagnamento continuo, al quale si sovrappongono i motivi musicali degli scenari naturali, di quelli costruiti dall’uomo e della vita quotidiana, con i suoi riti e le sue infinite ripetizioni.
Guardando le mura, un recinto protettivo che chiude un mondo ed impedisce che vi penetrino le influenze nefaste di origine inferiore, acquisterebbe un ulteriore motivo d’interesse per la natura del luogo, al cui tormentato modello si adegua l’intervento umano, evitando forzature e travisamenti, costringendoci a ripercorrerne, con ripide scale e gradinate, passaggi tortuosi e fitti aggregati edilizi, le costanti asperità rocciose, si proverebbe la sensazione precisa di penetrare in un luogo antico, quasi intatto.
Bisogna addentrarsi, ed ancor di più allontanarsi, allora, dal terrazzo naturale che guarda sulla vallata ricca di ulivi rigogliosi e di querce annose, sui ruderi della Cappella di Santa Veneranda, parcheggio psicologico entro il paesaggio; si può gustare la sensazione di una natura intrisa di una particolare suggestione in cui il segno dell’uomo ha la discrezione di una pagina voltata con delicatezza, di una leggera sottolineatura.
Di lì la veduta intorno acquista una bellezza da capogiro e si capisce il legame con la Grecia Antica, col suo popoloso mondo dei racconti che più hanno fatto la geografia del mediterraneo; se il viaggiatore penetrasse sotto l’affollamento degli edifici, scoprirebbe uno spazio rimasto quasi indenne da ogni vantaggio del cosiddetto “progresso”.
Il ritmo di vita degli abitanti non è notevolmente cambiato da secoli e la “misura naturale”, quella che scandisce la notte e il giorno, le diverse stagioni e, attraverso le fasi lunari, i tempi della semina e del raccolto, è una misura nettamente percepibile, anzi è la chiave di comportamenti, di sorrisi, di timori, di ritrosie, di condiscendenze verso gli ospiti che colpiscono come il segno di un’identità preziosa.
Percorrendo le vie Capolanzi e San Pietro, in cui è condensato lo spirito della strada, punto di contatto e d’incontro, di mobilità fisica, psichica e sociale, nodo di “teatralità urbana”, incontrerebbe alcuni vecchi che, abbandonati al piacere di ricordare le messi marezzanti sotto la luna, le vigne fiorenti, raccontano del pane nero di qui, fatto di grano duro, in grandi forme, che durano una settimana, una volta cibo unico del povero e del ricco, rotonde come il sole o come una messianica pietra del tempo.
Vorrà la sorte che l’ora estiva, dilazionando il giorno, gli farà trovare spalancata la porta di “Bocca del Ponte”, vigilata dalle attente sentinelle, sulla rinfrescante e quieta prospettiva di un giardino che gli solleciterà di entrare, di soffermarsi, di vagare …
Circondato dallo skyline pietroso del paese, quel giardino gli sembrerà un atto di necessaria respirazione, un pensile alveolo vegetale entro il coriaceo polmone di un ambiente tutto costruito.
Alla fine non si porrà problemi di architettonica definizione, né disputerà di “filoni” o “tendenze”. Gli sembreranno veniali talune notizie di fabbriche e non gli interesserà nemmeno sapere di chi fu l’accorta intenzione di progettare il costruito.
Lascerà questo teorema ad altri viaggiatori, bastandogli sentire il confortante abbraccio di questa terra “a misura d’uomo”.
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